H.E. Tsenshap Serkong Rinpoche è tornato a commentare il Bodhisattvacharyavatara, in particolare la strofa numero 43 del capitolo VIII dedicato alla meditazione.
La cosa più importante, quando osserviamo il modo in cui si sono impegnati i bodhisattva, i quali non si sono limitati a cercare la loro liberazione, è comprendere il modo di meditare. Perché ci si potrebbe chiedere : “Io ne ho abbastanza, ho bisogno di trovare un momento per stare tranquillo”. Ad esempio, quando ci stanchiamo della nostra vita così indaffarata, o abbiamo dei problemi, allora cerchiamo di trovare nella meditazione la pace interiore. Ovviamente ciò offre la possibilità di rilassarsi. Ma poi pensiamo: “La mia mente è perfetta, non c’è niente di sbagliato, non c’è niente da cambiare in me stesso, non devo cambiare nulla”.
E quello che ci aspettiamo è che a cambiare debba essere ciò che è fuori, di fronte a noi, non noi. Ma siccome non possiamo farlo, di nuovo ci stanchiamo. E perciò, quando creiamo questa distanza, questa separazione, tra ciò che c’è fuori e ciò che proviamo dentro di noi, è come prendere una breve vacanza dal lavoro, e questo, ovviamente, ci dà un po’ di pace. Questo è il modo in cui alcune persone intendono la meditazione, ed è quello che le persone mi chiedono, dicendo, però: “no, non voglio studiare, è complicato”. Quindi, quando provo a chiedere: “hai mai cercato di cambiare la tua mente?”, non c’è quasi mai una buona risposta a questa domanda.
In particolare questo testo parla di meditazione, nel punto in cui siamo, la strofa 43, sta parlando di come cambiare la nostra mente. E va davvero in profondità riguardo a cose molto forti, molto grossolane. Normalmente il buddismo ci dice: “Cosa ti aspetti dal samsara?”, ma quando proviamo un forte attaccamento verso qualcosa, allora assumiamo un atteggiamento molto determinato a tenere vivo quell’attaccamento… Quindi la nostra mente diventa così ristretta.